In un congresso che parla di pelle e di cosmetica non poteva mancare a Dermocosm 2024 uno degli argomenti principi: le novità in fatto di dermocosmesi. Affronterà la materia Umberto Borellini, docente di cosmetologia presso numerosi master universitari e responsabile scientifico del congresso. Anticipando i contenuti del suo speech di giovedì 26 settembre, l’esperto ci offre una rapida carrellata delle tendenze cosmetiche in atto. «L’orientamento del mercato è chiaro: il settore green è ancora in grande espansione e al suo interno la bio cosmesi è in continua crescita. Ma c’è un’altra fetta di mercato che si sta ampliando sempre di più, quella dei cosmetici vegani. I dati parlano chiaro: la richiesta di prodotti veg aumenta ogni danno del 40%» puntualizza Borellini. Una sfida per i formulatori, che devono sostituire ingredienti tradizionali di derivazione animale con altri prodotti grazie alle biotecnologie o di origine vegetale.
Le nuove sfide della dermocosmesi
«Per noi cosmetologi questo trend è una vera e propria sfida: occorre trovare valide alternative a ingredienti quali la cera d’api, il miele, l’acido ialuronico, la cheratina, il collagene. Se per l’acido ialuronico da tempo si sono trovate soluzioni a partire dalla fermentazione batterica, per il collagene la ricerca ha prodotto un’alternativa recente: è stata sintetizzata una forma di collagene vegetale derivata dalle proteine del riso idrolizzate. La cheratina vegetale invece viene prodotta a partire da soia, piselli, luppolo e lupini».
C’è poi tutto il filone della dermocosmesi sostenibile. Cresce la sensibilità verso l’impatto che la produzione industriale ha sull’ambiente e di conseguenza i consumatori prediligono aziende attente a questo aspetto lungo tutta la catena produttiva.
I dati attualmente a disposizione non sono molti, ma si stima che il contributo di emissioni di gas serra della produzione cosmetica sia tra lo 0.5%-1.5%. Per ridurre l’impatto ambientale e per contrastare quindi il cambiamento climatico, le aziende devono intervenire lungo tutte le fasi del ciclo produttivo, dall’approvvigionamento delle materie prime, alla lavorazione, al packaging, alla produzione dei materiali per l’esposizione nei punti vendita.
Dermocosmesi a partire dal riciclo
All’interno di questo settore di mercato si colloca un’altra tendenza in grande espansione: l’upcycling beauty, ovvero l’arte del riciclo nella dermocosmesi, per evitare gli sprechi. Così i cosmetici upcycled utilizzano scarti di derivazione organica per produrre attivi green per pelle e capelli. «Il binomio di classica derivazione ‘bellezza e bontà’ si declina in questo caso con l’utilizzo di ingredienti che sono sia dermo-compatibili che etici. Qualche esempio? I fondi di caffè, la buccia e i semi del pomodoro, le foglie di olivo, i graspi e le vinacce dell’uva, le bucce degli agrumi. Un esempio per tutti è il progetto di riciclo che vede coinvolto il mercato ortofrutticolo di Rialto, a Venezia, e l’Università di Ca’ Foscari, in cui si recuperano gli scarti degli ortaggi per produrre attivi destinati a prodotti per capelli».
Attenzione all’etica
Un’altra definizione da evidenziare nell’elenco dei nuovi trends per la dermocosmesi è l’ethical sourcing. Significa attenzione alla provenienza delle materie prime, la cui fornitura deve rispettare dei criteri etici. Ciò implica che le aziende o le cooperative locali presso cui si acquistano i prodotti devono garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, il mantenimento di condizioni di lavoro sicure e l’adesione agli standard etici durante tutto il processo di gestione della catena di fornitura. I marchi etici danno priorità al trattamento e al compenso equi per i lavoratori, tenendo conto anche delle questioni ambientali come la deforestazione.
Un esempio tipico è quello del burro di karitè, che è entrato nella lista di specie rischio estinzione in natura. L’eccessivo uso delle piante in cosmesi non permette una rigenerazione abbastanza veloce degli alberi. Esistono perciò dei progetti di riforestazione, ad eempio in Burkina Faso che coinvolgono le comunità locali e questo consente non solo di contrastare il processo di desertificazione ma anche di sostenere i lavoratori, molto spesso donne, del luogo. Approvvigionarsi della materia prima in loco anziché dai più grandi distributori, è sicuramente una scelta etica e sostenibile.